La ferrovia transiraniana è stata una delle principali opere ingegneristiche del Ventesimo secolo: realizzata in un Paese ancora lontano dallo sviluppo industriale (in molti casi la ferrovia ha preceduto la costruzione di strade moderne), ha dovuto confrontarsi con la peculiare orografia dell'Iran, che ha richiesto il superamento di passi a oltre 2.000 metri di altitudine e lo scavo di 190 tunnel (di cui ben 73 realizzati da Impresit).

I lotti affidati agli italiani nel tratto nord della linea prevedevano la costruzione delle opere necessarie per superare un dislivello di 1.000 metri in meno di 50 chilometri di percorso, con la costruzione di serpentine e di altri accorgimenti che permettono alla ferrovia di funzionare con una pendenza media del 2,6%. I lotti della porzione a Sud, invece, si dovettero confrontare con le aspre montagne della regione del Khūzestān, a oltre 1.000 km dalla capitale e caratterizzata da un torrido clima desertico.

I limiti della tecnologia disponibile negli anni Trenta e la localizzazione isolata dei cantieri hanno reso il lavoro uno sforzo titanico per i circa 600-900 italiani e per i 12.000 lavoratori locali coinvolti: se a Nord la valle del Talar era ricoperta da una spessa coltre di neve per ben cinque mesi all'anno, nei cantieri meridionali il lavoro era possibile solo di notte nella stagione in cui le temperature diurne si aggiravano sui 40-50° Celsius.

Nel 1939 la nuova ferrovia era completata con importanti ricadute sul processo di modernizzazione dell'Iran: non solo il collegamento ferroviario rendeva possibile il trasporto di merci, ma aveva ricadute positive anche sullo sviluppo di altre attività moderne, migliorava il controllo del governo centrale sulle aree periferiche e aveva un importante ruolo militare. La linea transiraniana, soprattutto, rappresentava un simbolo della volontà della dinastia dei Pahlavi di introdurre l'Iran del consesso delle nazioni moderne.