Costruire il domani
Investire nelle infrastrutture
Il 4 agosto 2020 il nuovo ponte di Genova San Giorgio è stato riaperto al traffico a due anni dal crollo del ponte Morandi, a quindici mesi dall’inizio dei lavori di ricostruzione e soprattutto a due mesi dal lungo periodo di lockdown, resosi necessario per fronteggiare la crisi dell’epidemia del virus Covid-19. Ha quindi assunto un enorme valore simbolico e di esempio di come le infrastrutture possano essere uno strumento per rilanciare l’economia degli stati che le ospitano, oramai in piena recessione a causa del rallentamento delle attività economico-commerciali.
Il nuovo ponte di Genova "San Giorgio" sotto un arcobaleno, pochi minuti dopo la cerimonia di inaugurazione del 3 agosto 2020
Lo sviluppo di nuove infrastrutture, ma anche rinnovati piani di manutenzione di quelle esistenti, sono divenuti pilastri fondamentali delle strategie di ripartenza e di rilancio delle economie di tutti i paesi, schiacciati da una crisi economica la cui portata è considerata superiore alla grande crisi del 1929 o agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale.
Gli investimenti nelle infrastrutture creano nel breve termine nuovi posti di lavoro e muovono l’economia dell’indotto diretto e indiretto, mentre nel lungo periodo sono in grado di aumentare la competitività del sistema paese, migliorando e rendendo più veloci gli spostamenti di beni e persone all’interno e all’esterno dei confini nazionali e dando impulso alle attività di Import - Export.
Gli investimenti in infrastrutture hanno un carattere anti-ciclico. In un periodo di contrazione dei consumi, generato da un clima d‘incertezza e paura, e quindi di una contrazione dei flussi commerciali, gli investimenti pubblici in infrastrutture hanno la caratteristica di dare immediatamente nuovo slancio all’economia, generando liquidità nelle tasche dei lavoratori e delle loro famiglie.
Una volta completate, le nuove infrastrutture avranno il particolare ruolo di facilitare altri processi produttivi, divenendo le piattaforme su cui i ripresi scambi commerciali potranno avvenire più facilmente e rapidamente. L’investimento nelle infrastrutture è quindi essenziale perché in grado di generare un impatto diretto e indiretto sul Pil, con un effetto moltiplicatore sulle risorse investite.
L’effetto moltiplicatore degli investimenti in infrastrutture
Gli economisti generalmente ritengono che la spesa per le infrastrutture abbia un significativo “effetto moltiplicatore”: ogni unità di moneta spesa in infrastrutture genera un ritorno economico superiore in termini di aumento del Prodotto interno lordo (Pil) e dell’occupazione.
Ogni fase della costruzione di una infrastruttura, dalla pianificazione al design, dagli acquisti alla costruzione vera e propria, genera un effetto moltiplicatore sull’economia.
Una recentissima condotta da Oxera per ICE, ha stimato i moltiplicatori del settore Infrastrutture in una forbice compresa tra 1.5 e 2.7. Per ogni unità di moneta investita nella costruzione d’infrastrutture, ci saranno da 1.5 a 2.7 unità di moneta aggiuntive date dall’effetto moltiplicatore. Più precisa la ricerca sui moltiplicatori di crescita degli investimenti in infrastrutture condotta da WIOD/McKinsey Global Institute (MGI), che prende in considerazione serie storiche di investimenti in infrastrutture e successivi benefici per il PIL e per i posti di lavoro e che viene ampiamente citata dal report dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). La ricerca ha definito moltiplicatori in grado di stimare la crescita attesa di PIL e posti di lavoro a fronte dell’investimento in infrastrutture per i diversi settori industriali coinvolti dal progetto:
Infrastrutture ed economia: le strategie dei Paesi
Il report di ISPI, oltre a sottolineare il forte carattere anticiclico degli investimenti in Infrastrutture, ci informa anche che “nella maggior parte dei paesi, la riduzione degli investimenti in infrastrutture rispetto alle esigenze nazionali ha portato a una crescita del Pil inferiore e tassi di occupazione più bassi. Negli ultimi anni, tuttavia, i paesi hanno anche implementato politiche di risanamento fiscale volte a ridurre il loro deficit e l’accumulo di titoli di debito. Di conseguenza, un numero crescente di operatori privati è entrato nel mercato delle infrastrutture, generalmente in collaborazione con Stati o altre autorità pubbliche regionali o locali”.
“In un contesto di investimenti privati contenuti, le maggiori potenze stanno riacquistando vantaggio nelle decisioni relative alle infrastrutture, trasformando i piani infrastrutturali in strumenti geopolitici”. Ne è un esempio la Cina: con una spesa infrastrutturale del 7% del Pil (in Europa oggi è il 2% e l’1% negli Stati Uniti), Pechino si è concentrata fortemente sulla connettività. “La Cina ha usato le infrastrutture prima come motore per la crescita interna e più recentemente come mezzo di proiezione verso l’esterno. La Belt & Road Initiative mira proprio a creare una più stretta interconnessione economica e strategica tra il paese e il blocco eurasiatico attraverso un ambizioso programma di investimenti infrastrutturali, che – dal 2013 in poi – ha tradotto in oltre 600 miliardi di dollari di finanziamenti”.
Gli investimenti nel settore infrastrutture in Italia
Il Comitato interministeriale per gli affari europei (Ciae) ha presentato a Palazzo Chigi le “”, la bozza del programma di investimenti volti all’utilizzo dei fondi europei Next Generation EU.
Nel testo vengono indicati sei “cluster” d’azione: digitalizzazione e innovazione, rivoluzione verde e transizione ecologica, competitività del sistema produttivo, infrastrutture per la mobilità, istruzione e formazione, equità e inclusione sociale e territoriale, salute.
Nella pagina di approfondimento del cluster Infrastrutture per la mobilità, si parla in particolare del completamento del corridoio ferroviario TEN-T, dello sviluppo su tutto il territorio italiano della reta ad Alta Velocità/Alta Capacità, dello sviluppo della rete stradale e autostradale e di ponti e viadotti, di intermodalità logistica integrata e infine dello sviluppo della mobilità pubblica e privata a impatto ambientale sostenibile.
Non è solo il governo italiano a guardare alle infrastrutture per il rilancio del Paese.
Il settore infrastrutturale italiano piace anche all’estero. A dirlo è l’ultimo report di EY “Infrastructure Barometer”, che ha coinvolto 56 dirigenti di società, istituti finanziari e fondi infrastrutturali a livello internazionale.
Il 44% degli intervistati prevede di investire nei prossimi 12 mesi nel settore delle infrastrutture italiane. Una fiducia che deriva dal consolidamento del settore edile italiano () e dall’introduzione di un nuovo codice degli appalti associati (dopo il crollo del ponte Morandi) alla diffusione del Covid-19, che ha modificato e attirato l’attenzione degli investitori verso il settore delle infrastrutture italiane.
“Il settore delle infrastrutture italiano è considerato un mercato chiave per i principali investitori istituzionali globali ed è reso attrattivo sia dal gap tra infrastrutture esistenti e infrastrutture necessarie sia dalle maggiori opportunità esistenti rispetto ad altri Paesi con economie mature, dove un processo di consolidamento è già in atto da anni. In un contesto così favorevole, dove le difficoltà sono rappresentate dall’incertezza politica e regolatoria ma le istituzioni sembrano lavorare nella giusta direzione, ci auguriamo che il Paese riesca a cogliere appieno questa opportunità”, dichiara Andrea Scialpi, Strategy and Transactions partner di EY.
Dalla ricerca è quindi emerso che il mondo delle infrastrutture italiane è attrattivo. Non solo il 44% pensa di voler investire nel prossimo anno in Italia con focus sul settore infrastrutturale, ma la qualità di questo settore è considerata in linea con la media Ue, nonostante alcune preoccupazioni in merito ai segmenti di seguito:
- trasporti (per il 39% degli intervistati al di sotto della media Ue)
- infrastrutture sociali (per il 40% degli intervistati al di sotto della media Ue)
- PPP (per il 46% degli intervistati al di sotto della media Ue).
A questo si aggiunge però come la maggior parte degli investitori sia attratta da segmenti maturi come:
- autostrade (57%)
- ferrovie (54%)
- fonti rinnovabili (75%)
- settore ospedaliero (66%)
Inoltre, il 59% degli intervistati si aspetta di vedere un aumento della concorrenza per investimenti in infrastrutture italiane nei prossimi 12 mesi. A controbilanciare la ricerca compare però un aspetto negativo che caratterizza da sempre il nostro paese: per il 79% degli intervistati l’incertezza politica e normativa rappresenta il principale freno per gli investimenti in Italia.
“Gli interventi sulle infrastrutture hanno un notevole effetto moltiplicatore, si stima che ogni euro speso si moltiplichi fino a 2.5 volte in valore sul Pil, pertanto gli investimenti nel settore sono considerati una delle leve chiave per la ripresa. Tuttavia, in Italia il settore risulta ancora parzialmente sottosviluppato: l’incidenza degli investimenti in infrastrutture sul Pil in Italia è del 2,1% per gli investimenti pubblici e del 5,2% per quelli privati, rispetto alla media Ue che si attesta rispettivamente sul 3% e sul 7%”, commenta Marco Daviddi, strategy and transactions managing partner di EY.
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